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De Profundis
Il Michelangelo, che la mia famiglia ha frequentato per tre generazioni, è un banco di prova per gli aspiranti a primeggiare nella società di Firenze e fuori.
Da studente mi sono trovato di fronte una duplice sfida:
1) imparare ad abbeverarsi alle fonti del sapere, illustrate e profuse da persone di cui non posso che avere un ricordo grato ed indelebile, ma difficili da sorseggiare ed assimilare.
2) quella di fronteggiare la complessa stratificazione sociale di Firenze, che al Michelangelo, più che in altri licei fiorentini è presente in stridente concentrato: a contatto con persone che, estratte da alte classi sociali, scendenti da ville a Fiesole o al Piazzale Michelangelo, figli di illustri professori, medici, avvocati, a quattordici anni credevano di conoscere già tutto e tutti quelli che vale la pena di conoscere, e giù fino a persone che, provenienti da ambienti diametralmente opposti, dovevano fare la strada in salita sotto il tiro degli snob di ogni tipo.
In altre parole, uno spaccato sociale che a me, di classe media, era ignoto fino al primo giorno della quarta ginnasio.
Concludendo, non ho mai faticato tanto né ho subito pressioni e confronti sociali, quanto negli anni del Miche.
Fatica del lavoro, compagni non sempre benevoli, tutte cose cui tutto sommato ci si deve abituare prima o poi, quindi meglio prima.
Però attenti alla crisi: a me venne in prima liceo.
Dopo, nel mondo fuori, ho sempre percepito (e goduto) il rispetto istintivo degli altri. E lo sentivo provenire dall'essere di Firenze e avere fatto il Miche!
Allo stesso tempo dal periodo del liceo è scaturita la compagnia di amici che è stata una costante di tutta la mia vita e anche di questo rendo grazie.
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